Signori? Vi presento l’Africa, un continente ricco di materie prime, miniere e pozzi di petrolio, da sempre colonizzata e sfruttata dai paesi europei onnipotenti.
Molti la considerano una casa, molti la disprezzano e tanti altri discriminano i suoi abitanti. L’africano è stato considerato da sempre inferiore, in una semplice parola: nero. Un colore così neutro è riuscito a dar luogo a così tanto odio, disprezzo e allo stesso tempo paura.
Se non esistesse il nero, se tutte le persone fossero nate bianche, non ci sarebbe nessuno su cui scaraventare i propri problemi, non si avrebbe nessuno “da strumentalizzare” e ora a chi daremmo la colpa di tutto?
Ai giorni d’oggi è semplice incolpare gli extracomunitari africani di ogni problema: durante un programma televisivo, “Filo Diretto”, un intervistato ha affermato di essersi stupito per non aver sentito parlare nemmeno di un paziente africano ricoverato a causa del nuovo virus, che si è diffuso anche in Italia! La cattiveria, la spregevole ironia umana ha trionfato anche in questa occasione: la salute è un diritto di tutti e purtroppo in questo momento terribile, contro l’atroce Coronavirus a perdere siamo un pò tutti, sì ma… soprattutto la testa!
Come precedentemente detto, la storia dell’Africa, soprattutto quella del Maghreb, è caratterizzata da continue conquiste coloniali da parte dei paesi europei che vi applicarono una strategia assimilatrice, durante le loro imprese.
Tra il XIX secolo e gli inizi del XX secolo, soprattutto, i paesi colonizzati erano considerati parte integrante di un impero: l’Algeria era stata assimilata al territorio metropolitano francese e divisa in dipartimenti, considerati a tutti gli effetti francesi. Certamente l’Esagono ha garantito il miglioramento delle condizioni igieniche e in generale di vita, il diritto all’istruzione e la sua “protezione militare”. L’Algeria è sempre stata un punto di forza della Francia ma mai propria, è stata fonte di risorse per i francesi ma mai per gli algerini, è stata sfruttata e non si è mai sentita uno stato vero che gode di proprie leggi.
Questo è il motivo principale che ha spinto il popolo algerino a prendere in mano la situazione e a mettere in atto per la prima volta il processo di decolonizzazione. La Francia fa resistenza e così scoppia nel 1954 la cosiddetta Guerra d’Algeria.
Solo dopo sette anni di attentati, vittime e rappresaglie gli algerini conquistano la libertà.
Durante questa guerra molti cittadini algerini, di origine francese, sono stati costretti ad abbandonare la propria patria per tornare in Francia. Un po’ come è successo al protagonista Michel di “Oranges amères”, una rappresentazione teatrale il cui soggetto era proprio la guerra di indipendenza algerina e il cui messaggio era: superare i pregiudizi razziali. Questo giovane ragazzo, di origine francese, ha dovuto lasciare alle spalle una casa, un nuovo amore, una vita per tornare in Francia e ricominciare da zero.
Un cuore, la cui buona parte si sente algerina, non prova più la serenità e la spensieratezza di una volta… Anche se vive e si muove nella Ville Lumière… a Parigi!
Oggi l’Algeria e la Francia sono effettivamente legate tra loro, grazie anche alle reti sociali, non solo da motivi economici e di politica migratoria, ma soprattutto per la lingua: sia in ambito scolastico che politico la lingua più diffusa è proprio il francese.
È comune passeggiare per le strade di Costantina e sentire giovani parlare in francese. Solo la fede religiosa e la struttura tradizionale della famiglia araba sono riuscite ad impedire una completa assimilazione.
Questo confronto di culture ha anche portato a matrimoni misti: molti algerini, infatti, hanno sposato donne francesi, e viceversa. Il cuore dei figli si trova perciò come “diviso” tra due culture diverse… E volete sapere come sono venuta a conoscenza di una di queste storie? Sentendo parlare (e molto bene) in francese: è così che ho conosciuto Omar (lo chiameremo così per tutelare la sua privacy) ed è così, cioè conversando in francese, che siamo diventati amici. Dopo aver affrontato l’argomento dell’indipendenza algerina a scuola, ho deciso di fargli qualche domanda, non proprio un’intervista… Giusto per aver anche io le idee più chiare in proposito: e indovinate che cosa mi ha risposto? Ecco, che… in tutta sincerità lui si sente “più algerino”. Ama la letteratura francese, ma crede nei valori che il padre fin gli ha insegnato fin dalla prima infanzia. Ama la sua patria africana, ama la sua cultura così ricca di differenze e colori e per questo motivo ha recentemente deciso, dopo aver studiato e vissuto in Francia con la sua mamma, di tornare a vivere in Algeria, quella che lui definisce “la sua vera casa”!A questo punto, ci si chiede se l’aggettivo “bianca” che si associa all’Algeria, e in generale all’Africa nordafricana, sia adatto o meno. I punti di vista saranno sempre diversi ma è certo che un corpo bianco può contenere un cuore nero, come un corpo nero può nascondere un cuore bianco.
MINYAR AROUI, 4B ESABAC
10 Comments
Davide Agostinelli
Devo ammettere che leggere questo articolo mi ha fatto riflettere molto riguardo il tema del razzismo, come ha scritto nella parte finale la mia cara amica Minyar, “un corpo bianco può contenere un cuore nero, come un corpo nero può nascondere un cuore bianco”, per questo ho deciso di esprimere un mio pensiero collegandomi a questa sua frase.
La maggior parte delle persone Occidentali hanno timore delle persone di colore, li ritengono inferiori, li disprezzano o li descrivono come criminali; eppure io nella mia breve vita ho conosciuto molti ragazzi e ragazze di etnie diverse e non posso non sottolineare il fatto che quasi tutti mi hanno lasciato un bellissimo ricordo e mi hanno insegnato molte cose, come il fatto di apprezzare quel che si ha.
Concludo invitando ogni persona che leggerà questo commento a non giudicare mai qualcuno ancor prima di conoscerlo, indipendentemente dal colore di pelle, poiché il bianco ed il nero sono solo due colori che descrivono una persona esteriormente, ma quel che conta sta dentro, non fuori.
Chiara Luconi
Grazie a questo articolo ho notato che proprio nella realtà in cui viviamo oggi, dove vi è in corso una pandemia catastrofica, il COVID 19 o meglio detto Coronavirus; ancora vi sono degli atti di razzismo come per esempio non diffondere le notizie sugli africani affetti dal coronavirus: ho sentito al telegiornale e in rete parlare solo di persone italiane che risultano positive al tampone del corona virus e comunque mai di extracomunitari, qui in Italia.
Purtroppo questo mi fa riflettere molto… e mi trasmette tristezza.
Ho letto una frase di Vittorino Andreoli, che dice: “Siamo in una cornice di civiltà disastrosa. La superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso”.
Questa frase mi è tornata subito alla mente quando ho iniziato a leggere questo articolo; poiché è proprio così che nascono le discriminazioni e l’odio, ci si concentra su qualcosa di superfluo come in questo caso sul colore della pelle, pur di screditare le persone e farle sentire sbagliate e inferiori.
claudia fede
Spesso si sentono parole di odio contro le persone di colore ma, proprio come ha scritto Minyar nell’articolo, “un corpo nero può nascondere un cuore bianco”. Il verbo “nascondere” ha catturato particolarmente la mia attenzione e mi ha portato a riflettere.
Personalmente credo che il disprezzo verso queste persone si basi sull’ignoranza di civiltà diverse dalla propria. Abbiamo visto recentemente, affrontando il periodo di colonizzazione, che quando la Francia colonizzò gran parte dell’Africa, i francesi decisero il ruolo dei nativi, proprio nella loro terra. I binachi sfruttarono i nativi dal primo momento: li misero a lavorare, a farsi servire, li privarono delle loro tradizioni e in particolare dei loro diritti. Questo era nel 1830, ma la cosa che fa quasi rabbrividire è che dal passato non abbiamo imparato proprio niente dato che ancora oggi questi uomini e queste donne africane vengono “schiavizzati” in qualche modo da altri stati del mondo, compresa l’Italia. Quello che mi sento di dire e che spero in futuro si possa avverare, è di comprendere che “diverso” non significa inferiore, infatti, non va mai giudicato un libro solo dalla copertina.
nicoleborsini
“Se non esistesse il nero, se tutte le persone fossero nate bianche, non ci sarebbe nessuno su cui scaraventare i propri problemi, non si avrebbe nessuno “da strumentalizzare” e ora a chi daremmo la colpa di tutto?”
Questa è la frase che mi ha più colpito di questo articolo e che mi ha fatto riflettere.
Ai giorni d’oggi, ancora purtroppo, si ha un grande senso di disprezzo e repulsione verso le persone di colore.
Stereotipi e pregiudizi fanno nascere odio e discriminazione nella nostra società.
Inferiori, pericolose, deboli: questi sono solo alcuni degli aggettivi che vengono addossati a queste persone senza un vero motivo. Non ha alcun senso. Ma la cosa peggiore è che la situazione del passato non è molto cambiata rispetto al presente. E questo sì che mi spaventa!
Ora mi chiedo “Quando si riuscirà a cambiare questa mentalità ormai stereotipata, chiusa? Quando si riuscirà a smettere di attuare questo atteggiamento di ostilità verso gli stranieri?” Io spero presto, spero in un futuro con meno pregiudizi e più confronti e condivisioni.
MARTINA BELVEDERESI
L’Algeria è il simbolo dell’impero coloniale francese, fu conquistata nel 1830 ed all’inizio degli anni ’50 del ‘900 contava circa un milione di ‘PIEDS-NOIRS’ (francesi che si stabilirono in Africa del Nord durante il periodo coloniale), ma dopo la scoperta di depositi di petrolio e benzina, l’Algeria diventò essenziale per l’economia francese. Quando scoppiò il conflitto tra i due Paesi, anche Mitterrand intervenne davanti l’Assemblea Nazionale per difendere la concezione di Algeria Francese: ‘L’Algérie, c’est la France, les départments de l’Algérie sont des départements de la République française. Tous ceux qui essayeront, d’une manière ou d’une autre, de créer le désordre et qui tendront à la sécession seront frappés par tous les moyens mis à notre disposition par la loi.’
A me invece piace immaginare l’Algeria e La Francia come lo Yin e Yang, un Paese che non può esistere senza l’altro. Lo dimostrano anche tanti ragazzi come ‘Omar’, il ragazzo dell’intervista, che anche se definisce l’Algeria la sua vera casa, però avrà sempre una parte di sé francese, come testimonia ciò che hanno in comune, l’aspetto fondamentale di ogni Paese e civiltà, ciò che permette di comunicare cioè la lingua. Non dovrebbero esserci comportamenti dispregiativi da parte dei francesi nei confronti degli algerini e viceversa, dovrebbero sentirsi parte di un’unica Nazione, dovrebbero sentirsi una sola cosa. Il razzismo dovrebbe essere un aspetto ormai superato nel 2020 ma sfortunatamente ancora non è cosi: quando riusciremo a sentirci tutti parte di questo meraviglioso sistema che si chiama Terra? Quando sarà possibile passeggiare e viaggiare per il mondo senza sentirsi giudicati a causa del colore della pelle, delle proprie tradizioni, della religione? Speriamo in un futuro non tanto lontano anche perché ‘il mondo è bello perchè vario’.
michelle fiordoliva
Leggendo questo articolo siamo portati a riflettere sull’importanza di superare i pregiudizi razziali e di non generalizzare o discriminare intere popolazioni sulla base del colore della pelle. È inaccettabile che ancora oggi si faccia uso di stereotipi e si tenda a colpevolizzare un’intera comunità per eventi o situazioni negative.
La storia dell’Africa, in particolare quella del Maghreb, ci mostra come la colonizzazione abbia influito pesantemente sullo sviluppo e sull’identità di questi territori. È importante ricordare che dietro ogni territorio colonizzato ci sono persone, culture, tradizioni e storie che meritano rispetto e dignità.
Il racconto di Omar è un esempio tangibile di come le persone possano sentirsi legate a più di una cultura e a più di un luogo. L’identità non può essere ridotta al solo colore della pelle o alla provenienza geografica, ma è una questione complessa che abbraccia molteplici sfaccettature. É fondamentale promuovere la conoscenza reciproca, il rispetto delle differenze e la valorizzazione delle identità individuali senza prevaricazioni o discriminazioni. Solo così potremo costruire una società più inclusiva e rispettosa.
Emily Greco
La Belle Époque è stata davvero una Belle Époque? La lettura dell’articolo proposto mi ha fatto riflettere molto su quanto il mondo a volte sia ingiusto. Anzi, forse non è il mondo ad essere colpevole di tutto, ma è l’uomo ad essere nemico di sé stesso. Come può un essere umano arrivare a pensare che “se non esistesse il nero, se tutte le persone fossero nate bianche, non ci sarebbe nessuno su cui scaraventare i propri problemi” o addirittura “da strumentizzare”? Charles Darwin arriva persino a dimostrare il modo in cui le persone vedevano il mondo naturale e il loro posto in esso. Nella sua opera “L’origine delle specie/Origine des espèces” viene trattata la teoria dell’evoluzione che mette in risalto il concetto di selezione naturale, evidenziando i processi mediante i quali le specie evolvono e si trasformano nel tempo (mostrati anche nella scena iniziale del film “Dilili à Paris”). Questa idea è stata spesso interpretata erroneamente per giustificare nozioni di gerarchia tra le razze umane, alimentando idee razziste e discriminatorie. Ciò è dimostrato dai cosiddetti “spectacles ethnologiques” organizzati per promuovere delle vere e proprie esibizioni zoologiche. Ma cosa veniva messo in scena? Purtroppo popolazioni esotiche come nel caso degli “Indiens Galibis” o di esposizioni simili in Germania.
Insomma, come disse Martin Luther King: “abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli”.
Aurora Cosimi
Non è strano leggere articoli come questi al giorno d’oggi? Perché lo dico? Semplicemente perché sostengo che affrontare tematiche profonde e complesse legate alla storia e alla percezione di alcuni paesi, oggi, non è affatto semplice.
In quest’articolo il focus principale è l’Africa, un paese che nonostante le “dicerie”, ho sempre desiderato visitare. È affascinante quasi, pensare come l’Africa, ricca di risorse naturali, sia stata storicamente colonizzata e sfruttata dalle potenze europee, creando un rapporto asimmetrico basato quasi sulla dipendenza e lo sfruttamento.
Viene sottolineato come il colore della pelle, in questo caso il nero, sia stato strumentalizzato per giustificare e accettare tutte le discriminazioni e tutti i pregiudizi a cui assistiamo ogni giorno. Un semplicissimo colore usato come arma del giudizio. “Un colore così neutro è riuscito a dar luogo a così tanto odio, disprezzo e allo stesso tempo paura. Se non esistesse il nero, se tutte le persone fossero nate bianche, non ci sarebbe nessuno su cui scaraventare i propri problemi, non si avrebbe nessuno “da strumentalizzare” e ora a chi daremmo la colpa di tutto?”, scrive la scrittrice dell’articolo. Possiamo andare avanti così?
L’articolo esplora anche l’attuale connessione tra Algeria e Francia, manifestata attraverso la lingua parlata, i legami sociali, il fenomeno dei matrimoni misti e molto altro che però non tutti sappiamo. Perché? Perché quando si parla di questi stati non si dicono mai cose “belle”, ma solo quelle brutte. Nonostante ciò, sono tutti elementi che creano identità ibride,
E se invece provassimo a unire due cose che apparentemente non potrebbero avere niente in comune? Il bianco e il nero, due colori che non potranno mai stare vicini per certe persone, ma se invece fosse possibile? Le identità e i cuori delle persone, infatti, trascendono il colore della pelle.
È importante iniziare a superare questi tipi di pregiudizi razziali e a riconoscere la complessità e la ricchezza delle identità culturali.
Il mondo è bello proprio perché è vasto, no?
DANIELE FILIPPETTI
L’articolo offre uno sguardo profondo e riflessivo sulla complessità delle relazioni tra Africa e Europa, sulla storia coloniale e sulle sfide attuali legate all’identità e alla convivenza. Mi fa pensare a quanto sia importante approfondire la conoscenza delle storie e delle prospettive delle persone che vivono queste realtà, anziché fermarsi a stereotipi superficiali. La storia di Omar, in particolare, è un esempio interessante di come il legame con la propria terra e cultura possa essere profondo e significativo. Ciò mi spinge a riflettere su come possiamo contribuire a promuovere una maggiore comprensione e rispetto reciproco nelle nostre interazioni quotidiane e nella società in generale.
rachele raimondi
L’articolo mette in luce le ingiustizie subite dagli africani a causa del colonialismo e del razzismo, con particolare attenzione alla storia dell’Algeria e al suo rapporto con la Francia. Evidenzia come il colore della pelle, sebbene neutro, sia stato strumentalizzato per giustificare odio e discriminazione.
La narrazione storica dell’Algeria, dalla colonizzazione alla guerra di indipendenza, mostra come la decolonizzazione sia stata una lotta per l’identità e la dignità, non solo politica. Le storie di Michel e Omar, che vivono tra due culture, sottolineano la complessità delle identità postcoloniali.
Il pezzo si chiude riflettendo sulle identità, suggerendo che le divisioni razziali e culturali sono meno nette di quanto sembrino: un corpo bianco può avere un cuore nero e viceversa. In sintesi, l’articolo invita a una riflessione critica e compassionevole sul razzismo e sull’identità.