IL LUPO PERDE IL PELO MA…
L’I.I.S. Savoia-Benincasa di Ancona ha aderito alla 7^ edizione di “Tutti contro tutti”, evento annuale promosso dall’Associazione “ Sulle regole” e dedicato agli studenti delle scuole secondarie italiane.
Il tema centrale si incentra sulla dicotomia: competizione / cooperazione, due modelli agli antipodi che si fondano su due visioni opposte di società. Il dibattito è mediato e arricchito dalla lettura e analisi della Costituzione Italiana e di articoli, commentati da addetti ai lavori. In più ogni partecipante ha ricevuto un’ampia filmografia da cui poter attingere per ispirarsi…
Oltre alla pluricandidatura agli Oscar 2014 e alla magnifica regia di Martin Scorsese, ha pesato sulla scelta personale di visione e riflessione un titolo emblematico: “Il lupo di Wall Street”. Ma è davvero azzeccato accostare la figura del protagonista, Jordan Belfort – broker cocainomane realmente vissuto, a quella – nobile – di un lupo? Forse sarebbe stato più adeguato intitolarlo “L’avvoltoio di Wall Street” considerato che tutto l’impero economico della Stratton Oakmont – la società di brokeraggio da lui fondata e attiva negli anni Novanta – si è retto per anni sulla menzogna e sulla truffa.
Tutta la prima parte del film ci proietta in un incubo dove la ricerca spasmodica del potere del denaro fa da padrona; un mondo immorale senza possibilità di redenzione, dove gli eccessi di droga e sesso costituiscono la giusta metafora da accostare all’oscenità bestiale del mondo della finanza corrotta.
Il “sogno americano” è morto e sepolto: nessuno pensa più di trovare il proprio posto di rilievo nella società con il lavoro onesto, lo studio e l’impegno. Nel film, i giovani abbandonano il college per proporsi alla Stratton come brokers, attirati dalla possibilità di diventare ricchi in poco tempo.
I (dis)valori imperanti che emergono prepotentemente sono individualismo sfrenato e avidità, i frutti avvelenati di un capitalismo selvaggio che passa sopra tutti e tutto: sentimenti, amicizia, solidarietà, amore.
Jordan Belfort è evidentemente incapace di amare: per la sua ambizione lascia la prima moglie, che non riesce a seguirlo nella sua follia psicotropa e autodistruttiva. Naomi, la seconda moglie lo ripaga della stessa moneta e lo abbandona quando Jordan, ormai braccato dalla FBI, sta per andare in carcere.
Il cameratismo e l’amicizia tra Jordan e i soci fondatori della Stratton Oakmont sembrano emanare una flebile luce in mezzo al cinismo che permea tutto il film, ma è solo un’ illusione: messo alle strette dalla FBI, per salvarsi da una galera ventennale Jordan non esiterà a tradire i suoi compagni di vizio e illegalità.
Non c’è pentimento, non c’è resurrezione, non c’è un uomo nuovo che rinasce dalle ceneri dei propri errori e si emenda: alla fine del film Jordan, uscito di prigione, riparte dal basso per insegnare a nuovi adepti i “trucchi del mestiere” del venditore disonesto: parlantina sciolta e qualche “piccola” bugia: ecco le qualità necessarie per raggiungere l’obiettivo di fare soldi sulla pelle degli altri. Ecco l’insegnamento da “lasciare in eredità” alle future generazioni.
Un articolo della nostra Costituzione che, secondo me, fa da filo conduttore a tutto il film è indubbiamente l’art. 54 della Costituzione, che recita, al comma 1: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Infatti, la violazione del dovere fondamentale di osservare le leggi statali contraddistingue, per tutto il film, i comportamenti del protagonista, la cui sete di denaro e potere porta a compiere ripetutamente comportamenti illegali, sleali e truffaldini.
Il mondo della finanza corrotta ci appare come non l’abbiamo mai visto: a confronto con Jordan Belfort il Gordon Gekko/Michael Douglas di “Wall Street” – iconico film degli anni ’80 di Oliver Stone – perde in quanto a cinismo e vizio. In “The Wolf of Wall Steet” un perenne “bunga bunga” delirante e fuori controllo, dove il piacere meccanico derivante dal sesso disumanizzato e dall’uso massiccio di stupefacenti viene innalzato a stile permanente di vita, per mantenere il quale cinismo, corruzione e illegalità vengono dispensati a piene mani. Jordan, corrotto puttaniere e tossicodipendente irrecuperabile, innalzato a idolo dai suoi brokers-fans invidiato da tutti, non è altro in realtà che un verme. E proprio come un verme strisciante paralizzato dalla sostanza assunta, Jordan ci viene mostrato in una scena del film dal potente significato simbolico.
La corsa isterica e amorale di Jordan e della sua combriccola si schianta contro il muro di legalità rappresentato da un incorruttibile agente della FBI che ostinatamente persegue il suo obiettivo di assicurare alla giustizia il cattivo di turno. Ma è davvero così? Tradendo i suoi compagni Jordan se la cava con appena 36 mesi di carcere, la giustizia non trionfa. In una delle scene finali del film l’agente della FBI che ha arrestato Jordan torna a casa in metropolitana e seduto al suo posto guarda tristemente l’umanità povera e ordinaria che lo circonda e di cui anch’egli in qualche modo fa parte ed è come se pensasse: “ma l’onestà nella vita paga davvero?” La risposta non può essere che sì, nonostante Scorsese sembri apparentemente volerci convincere proprio del contrario. Ma la descrizione minuziosa di un mondo corrotto e drogato, nero e distruttivo diventa subito disturbante per lo spettatore; ci rivela qualcosa di mostruoso sulla natura umana e ci fornisce al contempo una mappa certa su quello che sicuramente non vorremmo per noi dalla nostra vita: sballo permanente, falsità, deserto affettivo, cinismo, illegalità.
Eppure, nonostante questo film ripudi palesemente tutti i valori del buon cittadino, ripresi dalle Costituzioni democratiche di tutto il mondo, compresa la nostra, non si può non notare una preoccupante similitudine tra il consumismo incontrollato, vorace, maniacale e sperperatore (lusso, droga, sesso, trasgressione estrema, potere) ben illustrato nel film, e l’obiettivo folle dell’iperliberismo di cui, nel nostro piccolo, siamo tutti attori, la trasformazione cioè da cittadini responsabili e consapevoli in “felici” possessori di beni e consumatori spasmodici di tutto ciò che offre il mercato, anche e soprattutto l’inutile e il dannoso. Non è quindi un caso se una vita “oltre ogni limite” come quella di Jordan sia un sogno per tante persone piuttosto che un incubo da respingere: ciò è il prodotto deviato della società capitalistica che induce l’individuo a “puntare sempre più in alto” e a possedere quegli “status symbol” che a detta di molti ne innalzano, appunto, lo status sociale: soldi, donne, potere.
Questo circolo vizioso può interrompersi solo se l’individuo ha la capacità di resistere alle ciniche lusinghe del marketing globale e di saper riconoscere le cose davvero belle e importanti nella vita: l’amore, l’amicizia, la solidarietà, la consapevolezza di avere un ruolo ben definito nella società.
Jordan è l’antitesi antonomastica del buon cittadino, violatore seriale dei principali valori espressi dalla carta costituzionale. In una delle scene iniziali, per esempio, per il divertimento dei broker-fans di Jordan, alcuni nani vengono lanciati come “freccette umane” per colpire un grosso bersaglio; già ciò illustra in modo inequivocabile la povertà umana dei protagonisti che ridicolizzano dei disabili per l’ilarità generale.
La violazione della dignità umana è infatti implicitamente affermato nel principio contenuto nell’art. 2 della Costituzione Italiana, là dove si stabilisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo …” e nell’art. 3 secondo il quale “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
E che dire allora di un’altra scena del film, quando una dipendente si rende disponibile ad essere rasata a zero di fronte a tutti per la somma di 10.000 dollari, necessaria per rifarsi un seno più grande. Il denaro può tutto, anche convincere una persona a umiliarsi di fronte a decine di persone urlanti.
Al di là di qualsiasi giudizio moralistico è evidente inoltre che i protagonisti del film vivano l’eros in totale spregio della donna, considerata semplicemente una macchina del sesso, da utilizzare a pagamento. Un atteggiamento palesemente discriminatorio nei confronti della donna che rende ancor più odiosa la figura di Jordan e dei suoi compari.
Alla fine sorge un dubbio: i valori costituzionali dell’etica e della legalità sono volutamente sovvertiti nel corso di tutto il film? Jordan prende spesso il microfono davanti ai suoi dipendenti-fans per elogiare il loro attaccamento al lavoro, il loro costante sforzo di arricchire la società (e loro stessi) ma questi “sermoni” hanno lo scopo di fidelizzare i brokers istigandoli a vendere azioni e titoli mentendo. Una falsa etica del lavoro, dove lavoro sta per “lavoro fraudolento” ai danni degli acquirenti. Tutto il film è permeato dalla mancanza di etica e di legalità ma i protagonisti se ne fregano altamente, tutti concentrati a fare più milioni di dollari possibili ogni mese.
La cosa più agghiacciante che mi sono trovato a pensare è che questo modello di vita, dissoluto e gelido, è fortemente ambito da molti esseri umani che si dicono tali ma che in fondo hanno dimenticato che cosa racchiuda davvero l’idea di umanità…
Concludendo, un film girato con la tipica cura maniacale scorsesiana, con un’ottima sceneggiatura e con una grande interpretazione che nel 2014 sfiorò l’Oscar per il miglior attore protagonista: proprio con questo film Di Caprio, a dispetto della sua “faccia d’angelo” viene consacrato come interprete magistrale di personaggi “noir”, come già in Django Unchained e recentemente in “C’era una volta Hollywood”, entrambi di Quentin Tarantino. Un film durissimo ma onesto, senza l’happy end che ci avrebbe fatto tirare un sospiro di sollievo e che avrebbe risistemato il film all’interno della tradizione hollywoodiana. Ma dobbiamo dire “grazie” a Scorsese perché conoscere il nostro nemico ci consente di combatterlo meglio.
Filippo Micucci 5C ESABAC
3 Comments
francesco.calligari
Sono in accordo con tutta la descrizione del protagonista Jordan Belfort e le considerazioni fatte sul suo modo di vivere e lavorare sfrenato, ma penso che il suo personaggio sia appositamente esagerato al fine di porre un esempio evidentemente negativo e far capire che spesso il fine non giustifica i mezzi e che vivere per lavorare ci fa perdere le cose e le persone che contano davvero nella vita.
filippo.micucci@savoiabenincasa.it
Io credo invece che il quadro non sia affatto esagerato. Certi ambienti sono davvero così agghiaccianti e il dio soldo domina ormai tutto o quasi…
laura.schiaroli@savoiabenincasa.it
Mi sono imbattuta in questo articolo per caso e, incuriosita dal titolo, ho deciso di continuare la lettura per sapere la trama del film “The wolf of Wall Street”, film di cui ho sentito parlare diverse volte, ma che non ho mai visto.
Questa recensione, scritta tra l’altro molto bene in modo, chiaro e comprensibile, mi ha permesso di farmi un quadro di ciò di cui il film parla e nel mentre leggevo mi veniva da riflettere su alcune domande che mi pongo spesso, ovvero: “L’onestà ripaga davvero gli sforzi fatti?”. Spesso rispondo di no a questa domanda perché penso che la vita sia fatta più che di onestà, di fortuna, soprattutto sentendo continuamente di gente che guadagna migliaia di euro ogni giorni svolgendo lavori sporchi e corrotti… Però penso poi anche a tutte quelle persone che ogni giorno si svegliano presto e lavorano per ore pur di portare a casa un minimo stipendio per portare avanti la propria famiglia…
Quindi mi viene sempre da pensare che forse il mondo funziona al contrario, che più che premiare gli onesti, premia i furbi e i disonesti e che forse la vita è fatta di fortuna e d’inganno!-( Ma poi penso che nella vita la felicità non è fatta di soldi, la felicità è fatta dalla famiglia, dagli affetti, dagli amici e dai piccoli momenti felici insieme.
Su una cosa però sono certa, la società è sicuramente cambiata, dopo il COVID specialmente, e non possiamo dire che sia cambiata in meglio: non so se mai riusciremo ad avere una società onesta dove la giustizia vinca sempre.