Da ormai più di un decennio vi è un periodo – a ridosso della primavera – in cui decine e decine di giovani studenti, provenienti da ogni parte dell’Italia, si riuniscono nella bella Firenze, in occasione di un evento tanto straordinario quanto educativo: i Colloqui Fiorentini.
Tale evento, la cui prima edizione risale al 2002, consiste nella proposta, da parte dell’organizzazione, di un autore della letteratura italiana, sul quale gli studenti partecipanti devono, divisi in gruppi e con la supervisione di un insegnante, elaborare delle riflessioni a partire dalle sue opere, dai suoi pensieri, dalle sue idee e arrivare, infine, a redigere un elaborato, che racchiuda le loro esperienze personali e rifletta la ‘freschezza’ delle loro idee di adolescenti, in modo che possa essere, oltre che un lavoro di approfondimento sull’autore, sul tema e anche su loro stessi. Queste produzioni scritte sono, poi, inviate alla Diesse di Firenze, dove una giuria di professori si occuperà di individuare le più meritevoli e premiare le migliori tre. Tuttavia, al di là della competizione, la parte veramente interessante dei Colloqui è poter trascorrere tre giornate all’ascolto di importanti relatori – fra gli altri, quest’anno, lo scrittore Alessandro D’Avenia e il poeta Davide Rondoni – che propongono le loro riflessioni sull’autore; sono giorni in cui si ha la possibilità di discutere, esprimere la propria opinione e confrontarsi con altri giovani studenti.
L’edizione del 2019, svoltasi nei primi giorni di Marzo, ha visto la partecipazione di oltre 4400 persone, tra insegnanti e studenti, e sono state inviate oltre 800 tra tesine, opere artistiche e di narrativa (anch’esse premiate in una categoria a parte).
L’autore di quest’anno era Giacomo Leopardi, pilastro della letteratura italiana le cui opere hanno segnato profondamente la cultura e la mentalità moderna. Il titolo dell’edizione era: “Misterio dell’eterno nostro essere”.
Un autore difficile, una produzione tormentata, ma come dire di no al nostro corregionale “giovane favoloso”? Dato che sono al terzo anno di Liceo, le conoscenze che avevo di questo autore erano delle limitate e frammentarie rimembranze, risalenti al periodo delle scuole medie, dunque decisamente insufficienti per la stesura di una tesina. La mia paura principale era quella di non riuscire a rendere appieno, con le mie sole capacità, quelli che sono le vastissime e complesse tematiche leopardiane, per non parlare del contributo personale, del quale non ero mai soddisfatta. Ricordo di aver trascorso ore a fissare una pagina bianca, nella speranza di trovare dal nulla, in qualche modo, un’idea che rientrasse nella tematica e che fosse coerente con il filo di riflessione seguito dalle mie compagne di gruppo.
Alla fine, la soluzione si è rivelata quasi per caso: semplicemente, mentre ero immersa nell’ennesima rilettura dell’Infinito e La Ginestra, ho capito che quello che dovevo fare non era riflettere sulle mie esperienze solo dal mio punto di vista, ma, invece, creare un filtro, una sorta di chiave di lettura, utilizzando il pensiero e l’approccio leopardiano che, al contrario di come tutti pensano, è tutt’altro che semplicemente pessimista. Un volta compreso ció, sono riuscita a portare avanti il mio lavoro e, proprio grazie a questo nuova prospettiva, credo di aver compreso il vero significato e lo scopo dei Colloqui Fiorentini: favorire, in maniera diversa da ciò che si può approfondire a scuola, un confronto tra l’autore e noi stessi, in modo da potersi guardare dentro in maniera del tutto nuova, riferendosi agli autori proposti come spunto di riflessione a tutto campo, su di sé, sul rapporto con gli altri e con il mondo.
Matilde Bolletta, 3A Scientifico