Scuola e studenti due parole così importanti che invece di lavorare sinergicamente sembrano in lotta continua. Basta chiedere a vostro nipote o a vostro figlio cosa ne pensa della scuola che, in un attimo, vi risponderà: “scuola no grazie, ne farei benissimo a meno”.
La domanda sorge spontanea: perché? Dobbiamo sicuramente premettere che gli studenti sono cambiati perché le loro esigenze sono strettamente connesse ai loro tempi. La scuola, invece, non cambia. Solo le menti unite di insegnanti e studenti possono muovere i cambiamenti.
Finché ad insegnare ci saranno professori che vivono mentalmente nel mondo di 50 anni fa, sicuramente non ci sarà evoluzione. Mi capita di incontrare insegnanti che peccano di vero e proprio egocentrismo, sembra quasi che gli alunni debbano ringraziare il mondo e “l’altre stelle” per il semplice motivo di averli in cattedra, quando invece non si rendono conto che più il distacco che mettono tra loro e i ragazzi è grande e più il loro insegnamento sarà sterile. A questo proposito il filosofo pedagogista Malavasi scrive: “per educare bisogna scendere con il proprio cuore nel cuore del giovane” e quando esso risponde tutta l’educazione è assicurata”.
Malavasi ha ragione, cari studenti, chi riscuoterà più successo, il leader che si pone all’ascolto e che mette in gioco le sue emozioni per il bene del popolo oppure quello che farà crescere un divario tra sé e il suo pubblico?
Lo psicologo Paolo Crepet afferma: ‘’Incontro giovani che hanno tutto, che sono cresciuti senza desiderare. […] Una società che nel segno di una presunta normalità, non produce più artisti è preoccupante’’.
Anche Crepet ha ragione, ma allora perché la scuola continua imperterrita a categorizzare, ad inscatolare e ad omologare queste giovani menti? Come può la creatività nascere se non le viene dato modo di sbocciare, come se estirpando la “nascente piantina”, si estirpasse pericolosa gramigna?
Vedete è quasi un paradosso, studiare autori che sono andati contro corrente, che hanno rotto schemi sociali assurdi in cui vivevano e poi la scuola è la prima a tarpare le ali dell’immaginazione e dell’intraprendenza umana. È come studiare la dittatura, condannarla e poi attuarla in classe con i propri studenti. Ma non è assurdo?
Parliamo, ed esempio, della maturità, la grande prova che i giovani alla fine del quinto anno devono affrontare per essere per definizione “maturi”. Ma veramente credete che per essere maturi serva una prova? La maturità è solo uno dei mille ostacoli che gli studenti dovranno affrontare per accrescere la loro maturità emotiva e psicologica! Gli insegnanti, spesso, si concentrano nell’immettere nelle piccole testoline di questi ragazzi più nozioni possibili, tralasciando l’obiettivo più importante: quello di insegnare a risolvere problemi, non crearli! A tal proposito Umberto Galimberti scrive: “Maturità non vuol dire saggezza, ponderazione, equilibrio o addirittura invecchiamento precoce, maturità vuol dire capacità di superare le prove per reperire la propria identità, così come capacità di reggere le sconfitte, senza depressione e abbandono”.
Vedete, tutte le riforme saranno inutili se non partono dagli studenti, ma sarà ugualmente infruttuoso pensare che denaro, tecnologia e avanguardia di qualsiasi genere possano compensare l’enorme gap che c’è tra i nostri due soggetti.
I ragazzi non hanno più voglia di andare a scuola, e questo perché non ne vedono più il senso. Perché dovrei studiare decine e decine di autori e di storie se poi gli stessi educatori non insegnano ad applicare quelle nozioni nella vita reale? È uno spreco di tempo andare a scuola e imparare a memoria gli argomenti per il compito in classe per, poi, scordarli il giorno dopo la verifica.
Questa volta io e la professoressa Mastrocola ci troviamo quasi sulla stessa lunghezza d’onda, perché è “Inutile pensare a riforme strabilianti, investimenti generosi che ricoprono di denaro le scuole (…) Inutile anche pensare a rivoluzioni copernicane dei saperi e dei metodi di insegnamento, a miracolosi corsi di formazione per insegnanti, a futuri maestri Superman, eroi di Supermotivazione. Il vero problema è che i nostri giovani almeno quelli che vanno al liceo, non hanno nessuna voglia di studiare”.
E che dire del Santo Padre Benedetto XVI? Ascoltiamo le sue parole: ‘’Ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore”.
Il Santo Padre ha centrato in pieno il problema.
I n questo momento abbiamo bisogno di educatori con la “E” maiuscola; educare non è mai stato facile, ma finché avremo nella scuola insegnanti, che nella maggior parte dei casi fa questo mestiere come secondo lavoro, come necessità o che lo prende come “ripiego”, la scuola e gli studenti non diventeranno mai cittadini, uomini e donne consapevoli.
Mi capita di sentire persone di una certa età venerare gli studenti ed i professori di una volta ma ascoltate cosa ne dice a proposito il politico C. Galli “anche il passato conosceva le baronie (anzi, più di quanto avvenga oggi) e spesso ignorava il merito e premiava servilismo e mediocrità. […] E d’altra parte anche il presente è illustrato da professori onesti e capaci, che producono scienza originale e che sono prodighi del loro tempo verso studenti desiderosi di apprendere”.
Sono parole condivisibili perché, benché abbia tracciato un quadro fosco, io ci credo nella scuola, credo in quei professori che mettono anima e corpo per i propri studenti, maestri che insegnano a dire “no” alle ingiustizie, quei professori che alla mediocrità non lasciano spazio perché insegnano a credere nei propri sogni ed in se stessi, e stimo quei maestri che hanno il coraggio di insegnare ai propri allievi l’arte di essere uomini e donne e il sapere che fa paura ai potenti.
Elisa Antinori, 5C Linguistico
La Costituzione compie 70 anni
Articolo 33
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
One Comment
Laura Galasso
Questo articolo mi ha dato veramente tanti spunti per riflettere. Purtroppo molti (professori ma anche alunni o genitori) sono coloro che pensano che la scuola debba essere per forza solo un apprendimento rapidissimo di quante più informazioni possibili e… Impossibili! Bisogna sapere a memoria tutte le date di nascita e morte dei vari poeti, a quanti anni Shakespeare ha scritto l’Amleto, ogni singolo elemento della tavola periodica o cosa stava facendo precisamente Isaac Newton prima di… “scoprire” la gravità. Tutte nozioni che, dopo aver fatto la verifica o le interrogazioni, ci siamo già belle che dimenticate!-) E allora a cosa serve andare a scuola se poi tutto quello che imparo andrà a finire nel dimenticatoio e nessuno ci parla delle cose che realmente dovremmo sapere. Ad esempio, sono pochi i professori che ci parlano di politica e ci fanno da guida in vista dei nostri 18 anni. Nessuno ci parla di come funzionano le tasse, come gestire il denaro e che cosa è un mutuo. Si parla troppo poco di disturbi alimentari (che sono la seconda causa di morte negli adolescenti dopo gli incidenti stradali) e di educazione sessuale. Servirebbe anche un corso di educazione digitale, dato che siamo la Generazione Z e siamo inevitabilmente sempre connessi a un’arma pericolosissima come Internet. Ovviamente, non possiamo dare tutta la colpa ai docenti e lavarcene le mani. Spesso e volentieri, noi studenti siamo i primi a non voler stare a sentire e a preferire l’ozio e la pigrizia, alle informazioni e alla cultura. Allora, forse, entrambe le parti dovrebbero fare un passettino in avanti: gli studenti senza ritenere che siano sempre i prof a essere troppo severi ed esigenti, e questi ultimi senza pensare che gli alunni siano tutti degli scansafatiche e che vivano solo per andare a scuola e prendere bei voti. Del resto, come diceva Charles Dickens, “L’alunno non è un vaso da riempire, ma una lampada da accendere”.