“Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” è un saggio del 2005 di Jared Diamond in cui vengono analizzati i motivi che hanno portato, nel passato e nel presente, determinate civiltà a un crollo repentino. Lo scopo è quello di capire se sia possibile che anche alcune delle società contemporanee stiano andando incontro a un crollo di questo genere, e se e come sia possibile evitarlo. In particolare nel capitolo nono “Due strade per la vittoria” vengono descritti due tipi diversi di strategie di risoluzione ai problemi ambientali: la bottom-up, che prevede iniziative locali, e la top-down, intrapresa su larga scala da chi ha autorità sul territorio.
La strategia bottom-up viene usata in territori di piccole dimensioni conosciuti fin troppo bene dagli abitanti che possono, quindi, prevedere il ripercuotersi delle loro azioni, poiché tutto avviene davanti ai loro occhi. Ad esempio, in Nuova Guinea la popolazione viveva da sempre in tribù senza capi o leader e senza alcun tipo di strutture gerarchiche. Era quindi un popolo primitivo e, in quanto tale, faceva grande uso di legno. Questo portò nei secoli alla, quasi completa, deforestazione dell’intero territorio neo-guineano. Nel XX secolo ogni singolo cittadino, quindi, decise autonomamente di praticare la selvicoltura, ovvero una vera e propria coltivazione di alberi. E così, i singoli, senza essere costretti da volontà superiori, si diedero autonomamente da fare per affrontare il problema e ognuno di loro contribuì alla sua risoluzione.
Quando, invece, i territori sono di grandi dimensioni, gli abitanti non ne possiedono sufficienza conoscenza per prevedere come ciò che viene modificato intorno a loro influenzi lo stato intero. Per questo la soluzione deve essere decisa da un’autorità centrale che si preoccupi del benessere di tutti e che abbia le informazioni necessarie; quindi una visione di insieme. Ne è un esempio la politica adottata dal Giappone per frenare la corsa al legno che avvenne nel XVII secolo. L’aumento della popolazione dovuta ad un lungo periodo di pace generò una maggiore richiesta di legno da costruzione per le abitazioni e di terre da coltivare, che portò alla deforestazione incontrollata dell’arcipelago nipponico. Nel 1700, quando lo Shogun al potere si rese conto del destino a cui si andava incontro, risolse il problema emanando un corpo di leggi per la gestione forestale che limitavano drasticamente il taglio degli alberi e anzi ne favorivano la piantagione, diminuivano la produzione agricola, incentivando il consumo di pesce, ponevano ispettori al controllo di aree forestali e strade commerciali.
La conclusione proposta dallo stesso Jared Diamond è che i problemi devono essere risolti utilizzando entrambe le strategie. I leader, dall’alto della loro posizione, devono prendere decisioni sagge in modo risoluto, ma i cittadini, allo stesso tempo, devono essere attivi e darsi da fare nel loro piccolo per contribuire al cambiamento in larga scala.
Questi ultimi, però, non conoscendo il problema e non vedendo l’efficacia delle loro azioni a breve termine e a breve raggio, spesso non sono collaborativi su strategie governative. Lo stato, senza essere autoritario, dovrebbe quindi coinvolgere il cittadino rendendolo consapevole e, laddove ciò non bastasse, incentivarlo con degli obiettivi che non necessariamente coincidano pienamente con gli obiettivi per cui lo stato lotta. Ad esempio, il riciclaggio dei rifiuti è un’azione che è evidentemente molto vantaggiosa dal punto di vista ambientale poiché, da un lato riduce la quantità di rifiuti da smaltire con tutti i danni ambientali che ciò comporta, e dall’altro consente di avere a disposizione materia già parzialmente lavorata da introdurre nel ciclo produttivo, riducendo quindi l’estrazione di materie prime, la cui quantità non è certo illimitata. È ovvio quindi che gli stati si pongano come obiettivo di promuovere la diffusione della raccolta differenziata. Ciò può essere realizzato non solo attraverso campagne di sensibilizzazione ma soprattutto incentivando il singolo all’azione virtuosa come fanno alcuni comuni italiani ed esteri in cui è prevista una riduzione delle tasse comunali proporzionale al peso di rifiuti riciclati, o come in Germania dove viene restituito istantaneamente parte del prezzo delle bottiglie di plastica a chi le smaltisce in determinati contenitori disseminati per le città.
Eppure, anche per problemi che sembrano così lontani da noi come i cambiamenti climatici, non sono pochi oggi i cittadini che si uniscono in associazioni che lottano per la tutela dell’ambiente, politica che potremmo definire “bottom-up”.
Per problemi globali di tale rilevanza, però, è indispensabile coordinare anche interventi “top-down” da parte dei governi suddetti o, ancora più efficaci, sarebbero le decisioni prese comunemente da organismi sovrannazionali che coinvolgano la maggior parte degli stati mondiali, uniti insieme a cooperare per risolvere un problema che un giorno, molto vicino ormai, riguarderà i cittadini dell’intero pianeta.
Già nel 1997 con il Protocollo Kyoto e, successivamente con gli Accordi di Parigi, questo processo di cooperazione sembrava andare nella giusta direzione anche se non con la necessaria velocità, secondo gli scienziati. Eppure, per interessi nazionalisti e sotto le spinte di lobby industriali, diversi stati come l’Australia, il Giappone, il Brasile e gli Stati Uniti (responsabili del 36,2% del totale delle emissioni di biossido di carbonio), si sono recentemente tirati indietro manifestando l’intenzione di non rispettare gli impegni sottoscritti. È ovvio che senza la partecipazione di questi colossi frenare totalmente l’aumento del riscaldamento globale è impossibile e le associazioni possono fare ben poco, al massimo rallentarne l’aumento.
Ben vengano quindi manifestazioni come il Fridays for Future, il grande movimento studentesco che negli ultimi mesi sta spingendo migliaia di ragazze e ragazzi a scioperare il venerdì e a riunirsi nelle piazze di tantissime città per ottenere dai governi azioni concrete contro i cambiamenti climatici. Se anche la manifestazione in sé non ci riesca direttamente, innesca un processo virtuoso che sta modificando la percezione della gente e il modo di pensare, in modo che i governi, un giorno forse, saranno obbligati a rispondere in maniera coordinata e convinta. E tu? Sei più bottom-up o top-down?
NICOLE FORNICH, 5DS
6 Comments
alessandro.cesari
Penso che questo tema dello sviluppo nel rispetto ecologico è un argomento molto delicato, soprattutto al giorno d’oggi.
Consiglio urgentemente a tutti i governi mondiali di lottare pur di non “buttar via” il nostro Pianeta, attuando strategie, come manifestare in ogni piazza e portare rispetto per l’ambiente; noi giovani dobbiamo mobilitarci per far capire che anche noi soffriamo e ci teniamo a vivere tutti gli anni della nostra vita in un mondo sano.
edoardo
Questo articolo è molto interessante perchè fa capire tutte le problematiche che ci sono oggi e che ci saranno pure in un domani se continueremo così. Sono affrontati problemi come la deforestazione e ogni tipo d’inquinamento, dalla plastica nei mari ai gas serra nell’atmosfera. Queste attività negative che l’umanità pratica contro il proprio pianeta sono terribili, perché provocano e provocheranno solamente conseguenze negative sul globo.
giulia.barbon@savoiabenincasa.it
questo articolo mi è piaciuto perchè fa capire molte cose, come per esempio i problemi che ci saranno in futuro se continuiamo con certi comportamenti sbagliati. Per non far sì che questi comportamenti rovinino l’ambiente, per aiutarlo insomma, dobbiamo avere comportamenti più corretti, come per esempio non inquinare.
Annalisa Borgognoni
Ho scelto la lettura di questo articolo perché il titolo mi ha resa molto curiosa, poi vedendo che parla delle problematiche che ci sono ora in questo mondo, ancora di più. Tratta argomenti che riguardano il nostro pianeta e tutti i fenomeni che lo possono rovinare. Diamond cerca di capire i motivi che hanno portato alcune civiltà a scomparire velocemente e, cosa molto più importante, come evitarlo in futuro. La prima causa di tutto ciò è sicuramente il rapporto tra uomo e natura e, di conseguenza, la ribellione della stessa contro di lui. È logico che le deforestazioni effettuate, magari per l’esigenza di avere più legno, hanno portato ad una concentrazione inferiore di ossigeno nell’aria e, come conseguenza, a un maggior inquinamento, oltre ad alluvioni e frane continue. Altro grosso problema sono le plastiche nei mari che, incidono negativamente sugli ecosistemi marini. Fortunatamente, oggi, si ricorre alla raccolta differenziata dei rifiuti e si vede, soprattutto nei ragazzini, la voglia di rispettare questa regola per salvare l’ambiente e il loro futuro.
aurora lucarelli
Questo articolo ci fa capire che ognuno di noi deve fare qualcosa, anche nel suo piccolo può essere utile e non portarci a conseguenze irrimediabili: insomma vogliamo o no garantire un futuro alle generazioni a venire e lasciar loro un mondo migliore?
francesco.rivellini
Greta Thunberg con i suoi #FridaysForFuture è diventata un simbolo per le nuove generazioni che ammirano la sua determinazione e il suo impegno nella lotta per fronteggiare i cambiamenti climatici. Nonostante sia un personaggio da molti criticato per i suoi modi diretti e poco simpatici (i meme su di lei si sprecano!) non si può negare che la giovane attivista svedese è riuscita ad attirare l’attenzione su temi ambientali “scottanti”, che sono al centro di importanti interessi economici, come la riduzione delle emissioni di CO2.
In occasione della Giornata della Terra, Greta ha inviato un nuovo messaggio ai leader mondiali in cui definisce gli obiettivi stabiliti “largamente insufficienti” e sottolinea che “non possiamo accontentarci di qualcosa solo perché è meglio di niente”.
Se facciamo il punto della situazione, viene da chiedersi che effetti ha avuto la pandemia sull’ambiente: positivi o negativi?
Da un lato il lock down ha fatto diminuire lo smog e l’inquinamento dell’aria per la ridotta mobilità dei mezzi di trasporto durante questo periodo, ma non in misura così significativa da poter essere considerato un vero cambiamento.
Dall’altro abbiamo assistito ad un boom dell’utilizzo di prodotti usa e getta in plastica, ai quali si sono aggiunti miliardi di mascherine e guanti utilizzati in tutto il mondo, dispositivi di protezione monouso che non sono biodegradabili e finiscono nelle discariche.
Scegliere di acquistare mascherine lavabili e riutilizzabili, oppure lavarsi più spesso le mani invece che cambiare i guanti, possono essere due semplici gesti per proteggerci dal Covid ma allo stesso tempo ridurre l’impatto ambientale. Non possiamo pensare di risolvere un’emergenza, causandone un’altra…